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Greece & Turkey 2008
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Metéora
Pergamum
Valle di Ihlara
Ürgüp

Gelibolu Stretto dei Dardanelli Troia
Efeso Pamukkale Konya
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Assos
Caravanserraglio di Sultanhanı
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Metéora

Metéora, ubicata nel nord della Grecia, al bordo nord occidentale della pianura della Tessaglia, è un importante centro della chiesa ortodossa (uno dei principali raggruppamenti di monasteri della Grecia, secondo solo a quello del monte Athos), ed è stata dichiarata patrimonio dell' umanità dall' Unesco.

Metéora (che significa "sospeso in aria") si caratterizza per la presenza di numerose falesie di arenaria. Su diverse di queste torri naturali di roccia si sono insediati ventiquattro monasteri (a loro volta detti "Metéore"), caratteristici per l' ardita costruzione in cima a pareti a picco. Oggi solo sei sono ancora abitati (Agios Stefanos, Agia Triada, Gran Metéora, Varlaam, Roussanou e Agios Nikolaos), oltre un settimo disabitato; altri sono andati distrutti ed in parte se ne conservano le rovine.

Fino al secolo scorso i monasteri erano raggiungibili solo con scale a pioli o con sistemi a carrucola.

La morfologia del luogo ed in particolare le torri hanno avuto origine con l' erosione dell' arenaria. Molto probabilmente l' erosione è iniziata ad opera del delta di un fiume che 25 milioni di anni fa sboccava nel mare che copriva l' attuale pianura della Tessaglia. Poi i rilievi sono stati modellati dall' acqua e dal vento, giungendo alla formazione di quattro gruppi di torri alte fino a 400 metri.

I primi insediamenti risalgono all' XI secolo, quando i primi eremiti occuparono alcune grotte nei fianchi dei dirupi.
Nei pressi della formazione rocciosa detta "Dupiani", agli inizi del XII secolo si formò una comunità di asceti che dette avvio ad uno stato monastico organizzato.
Nel XIV secolo, allo scopo di difendersi dai turchi, furono costruiti monasteri sulle cime di rocce inespugnabili.
Dopo un periodo di proliferazione e di ampliamento dei monasteri, il passare del tempo e le calamità, come le incursioni di vari conquistatori, condussero al declino molti di essi, in particolare dopo il XVII secolo.


Gelibolu

Il nome Gelibolu (Gallipoli) deriva dal greco Kallipolis, che significa "bella città". È situata sulla penisola omonima (Gelibolu Yarımadası in turco), sulla parte europea dello stretto dei Dardanelli.

Nel corso della prima guerra mondiale nella penisola di Gallipoli avvenne una delle più cruente battaglie della guerra, la campagna dei Dardanelli (19 febbraio 1915 - 9 gennaio 1916), rilevante perché fu il primo esempio di invasione dal mare dei tempi moderni e l' operazione anfibia più importante del conflitto. L' operazione può essere considerata uno dei più clamorosi insuccessi della Triplice Intesa (intesa politica tra Francia, Regno Unito e l' Impero russo) durante la prima guerra mondiale nel tentativo di sottrarre lo stretto dei Dardanelli all' Impero Ottomano (alleato della Germania e dell' Austria) per conquistare la capitale ottomana ed aprirsi un varco verso l' Impero russo.

Fortemente voluta e caldeggiata dal giovane ministro della Marina britannica dell' epoca, Winston Churchill, presentò subito una lunga serie di difficoltà logistiche e organizzative, e venne condotta con eccessiva superficialità. Le oltre 150.000 perdite in vite umane, tra anglo-francesi, australiani, neozelandesi, indiani e turchi, vennero sacrificate per quello che militarmente fu un "nulla di fatto" e si risolse con il reimbarco forzato delle truppe dell' Intesa. 

La battaglia di Gallipoli ha un significato particolare per australiani e neozelandesi che ogni anno arrivano qui a migliaia per commemorare lo sbarco delle truppe alleate. 

Sulla collina che s’ innalza sul lato europeo dello stretto sono chiaramente visibili le gigantesche lettere dei primi versi di una poesia scritta per commemorare la battaglia: 

“Viaggiatore, fermati!

il suolo che calpesti distratto

fu un tempo testimone della fine di un’ era.

Ascolta!

Su questa tranquilla collinetta

batté un tempo il cuore di una nazione.”


Il successo turco fu in parte dovuto alla sfortuna ed alle scarse capacità dei comandanti dell' Intesa, in parte all’ aiuto fornito dai rinforzi giunti sotto il comando del generale tedesco Liman von Sanders, ma il contributo decisivo alle sorti della battaglia fu l’ azione del tenente colonnello Mustafa Kemal (Salonicco, 19 maggio 1881 – Istanbul, 10 novembre 1938). Benché l’ allora trentaquattrenne Mustafa Kemal fosse un ufficiale di rango relativamente modesto, si era conquistato la fiducia del generale von Sanders ed ostacolò, sempre in trincea, l’ avanzata delle truppe nemiche spossandole con una serie di furiosi combattimenti, pur soffrendo di malaria e scampando in diverse occasioni alla morte (una volta un frammento di proiettile fu fermato dal suo orologio da tasca). La sua brillante operazione militare gli fece guadagnare ampiamente il titolo di "Salvatore di Gallipoli" e gli aprì la strada verso la promozione a pașa (generale).
Mustafa Kemal sarà poi il fondatore e primo presidente della Repubblica Turca nel 1923 dopo aver ristabilito l' unità e l' indipendenza dell' Impero Ottomano sconfiggendo i greci (1919-22) ed aver deposto il sultano Maometto VI. Egli diede vita ad una serie di riforme fondamentali sulla base di un' ideologia di chiaro stampo occidentalista. Abolì il califfato, laicizzò lo Stato, riconobbe la parità dei sessi, istituì il suffragio universale, adottò l' alfabeto latino, il calendario gregoriano, il sistema metrico decimale. Al fine di garantire la stabilità e la sicurezza dello Stato, istituì tuttavia un sistema autoritario fondato sul partito unico.
Atatürk ("Padre dei Turchi") fu il cognome che nel 1934 il Parlamento della Repubblica attribuì a Mustafa Kemal quando egli impose l' adozione di regolari cognomi di famiglia come era uso nel mondo occidentale.


Stretto dei Dardanelli - Europa-Asia

Lo stretto, che con un’ ampiezza minima di appena 1,4 km collega il Mar Egeo al Mar di Marmara, è ricco di storia e leggende.

In tempi antichi era chiamato Ellesponto, che letteralmente significa il "mare di Elle", nominato in memoria di Helle, una mitica principessa che annegò nelle sue acque dopo essere caduta dal leggendario ariete con il vello d' oro durante il suo viaggio verso la Colchide. Un' altra leggenda parla di Leandro, il quale nuotò ogni notte fra Sestos e Abydos, due città antiche sulle rive opposte, per visitare Hera, sua amante e sacerdotessa di Afrodite, ma anche lui annegò fra le onde.

Lo stretto è sempre stato, per i viaggiatori e per gli eserciti, il punto più comodo per passare dall’ Europa in Asia Minore e viceversa.

Nel 481 a.C., Serse I, re di Persia, fece passare il suo esercito attraverso lo stretto su un ponte di barche per invadere la Grecia. Nel 334 a.C., questa volta Alessandro Magno lo attraversò dalla Grecia verso l' Asia Minore per invadere la Persia.

Più recentemente nel XIX secolo, sulle orme di Leandro, anche il poeta inglese Lord Byron attraversò a nuoto l' Ellesponto.

In epoca bizantina lo stretto era la prima linea di difesa di Costantinopoli.
Gli Ottomani per la prima volta misero piede a Gallipoli nel 1354 sotto il regno di Orhan Bey. Ma solo nel 1362 Canakkale e tutta la regione passò completamente nelle mani dei Turchi sotto il regno di Murat I, il che diede alle armate ottomane la possibilità di partire alla conquista dei Balcani; inoltre Mehmet il Conquistatore fortificò lo stretto nell’ambito del grandioso progetto di assoggettare Costantinopoli, impresa che gli riuscì nel 1453.

In seguito nel XIX secolo lo strategico controllo turco dello stretto è stato sostenuto dalla diplomazia franco-britannica, al fine di non far affacciare l' Impero russo sul Mediterraneo. Durante la prima guerra mondiale però la Turchia era alleata della Germania e gli inglesi, che volevano conquistare la capitale ottomana ed aprirsi un varco verso l' Impero russo, tentarono invano di catturare la penisola di Gallipoli nel 1915-1916.
Dopo la sconfitta della Turchia nel 1917, lo stretto dei Dardanelli entrò a far parte di una zona neutra di stretti sotto il controllo della Società delle Nazioni. Nel 1923 il trattato di Losanna restituì la regione alla Turchia e nel 1936 un altro trattato consentì al governo turco di chiudere lo stretto alle navi in tempo di guerra.
Essendo la Turchia neutrale durante la seconda guerra mondiale, la via verso l' Unione Sovietica tramite i Dardanelli era chiusa alla Gran Bretagna ed agli Stati Uniti. Quindi gli Alleati furono costretti a costruire diverse vie attraverso l' Iran per inviare i rifornimenti ai sovietici. Dopo la guerra, l' Unione Sovietica fu determinata ad ottenere il controllo parziale dei Dardanelli, però la Turchia rifiutò le richieste formali per una quota di controllo nel 1946 e di nuovo nel 1947. Durante la Guerra Fredda, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna appoggiarono la Turchia nel mantenere il controllo esclusivo degli stretti.


Troia

L’ incontro con le rovine di Troia, l’ antica città dell' Asia Minore all' entrata dell' Ellesponto (come era chiamato anticamente lo stretto dei Dardanelli), non è sicuramente mozzafiato come per altri siti, però il far tornare la mente alla guerra troiana narrata nei poemi classici riaccende immediatamente di un eccezionale fascino questo sito.

L’ Iliade descrive una breve parte dell' assedio (prevalentemente tratta di due mesi del nono anno dell' assedio, secondo la cronologia proposta da Omero), mentre alcune scene della sua distruzione sono raccontate nell' Odissea. Il poema latino Eneide scritto dal poeta e filosofo Virgilio nel I secolo a.C. comincia con la distruzione di Troia.

La città venne riscoperta nel 1871 dall’ archeologo dilettante, californiano di origine tedesca, Heinrich Schliemann seguendo le indicazioni e le descrizioni dei testi omerici, realizzando i lavori a sue spese.

Schliemann venne liquidato come un "cacciatore di tesori" (certamente il suo interesse primario era la ricerca del tesoro di Priamo) e durante l’ ultimo giorno della campagna di scavi si imbatté veramente nell‘ oro, che fu tuttavia in seguito attribuito ad una regina vissuta in un altro periodo. Il tesoro scomparve durante la Seconda Guerra Mondiale ed è stato solo recentemente localizzato in Russia, oggi si trova al Museo Pushkin di Mosca.


Il sito archeologico di Troia è stato proclamato patrimonio dell' umanità dall' UNESCO nel 1998.

Secondo il mito, la città fu fondata dai discendenti di Dardano, figlio di Zeus e, sotto il regno di Priamo, fu assediata dalla spedizione achea, comandata da Agamennone, che voleva vendicare il rapimento di Elena da parte di Paride. Dopo dieci anni di assedio, la città cadde grazie allo stratagemma del cavallo ligneo ideato da Ulisse.

Le ricerche condotte portarono alla scoperta di nove strati sovrapposti della città di Troia:
* Troia I (3000 - 2600 a.C.): villaggio neolitico, con ritrovamenti di utensili in pietra e di abitazioni dalla struttura elementare.
* Troia II (2600- 2250 a.C.): piccola città con mura caratterizzate da porte enormi, presenza del megaron (palazzo reale) e case in mattoni crudi che recano segni di distruzione da incendio, che Schliemann suppose potessero riferirsi ai resti della reggia di Priamo rasa al suolo dagli Achei.
* Troia III - IV - V (2000 - 1800 a.C.): tre villaggi distrutti ognuno dopo poco tempo dalla fondazione.
* Troia VI (1800 - 1300 a.C.): grande città a pianta ellittica disposta su terrazze ascendenti, fortificata da alte e spesse mura, costituite da enormi blocchi di pietra squadrati e levigati, con torri e porte. La distruzione della città dovrebbe essere avvenuta intorno alla metà del XIII secolo a.C. forse a causa di un terremoto. Gli archeologi ipotizzano anche che ciò possa aver favorito la vittoria degli achei.
* Troia VII a (1300 - 1170 a.C.): la città precedente fu immediatamente ricostruita, ma ebbe vita breve. I segni di distruzione da incendio hanno indotto Blegen ad identificare questo strato come quello corrispondente alla Troia omerica.
* Troia VII b1 - VII b2 - VII b3 (XII - XI secolo a.C. fino a circa 950 a.C.).
* Troia VIII (VIII secolo a.C.): colonia greca priva di fortificazioni.
* Troia IX (dall' età romana al IV secolo d.C.): costruzioni romane edificate sulla sommità spianata della collina e rifacimento.

Datazione "letteraria" della guerra di Troia, fonti letterarie greche parlano di una distruzione di Troia ad opera greca da collocarsi alla fine del XII secolo a.C.:
* Tucidide parla di Agamennone e della guerra di Troia nel I libro delle "Storie" (par.9), ma la datazione è ricavabile piuttosto dal passo del libro V legato al cosiddetto "discorso dei Meli". Nel dialogo con gli Ateniesi, i Meli sottolineano di essere di tradizione dorica e di essere stati colonizzati dagli Spartani da 700 anni. Siccome l' avvenimento è del 416 a.C. e passano 80 anni tra la guerra di Troia e la colonizzazione dorica ("ritorno degli Eraclidi"), la data attribuita da Tucidide alla caduta di Troia è il 1196 a.C. (416+700+80), cioè il XII secolo a.C..
* Erodoto (484 a.C. – 425 a.C., storico greco antico, famoso per aver descritto paesi e persone da lui conosciute in numerosi viaggi ed in particolare riguardo all' invasione persiana in Grecia) ricostruisce una datazione più antica, ma attraverso una ricerca meno storiografica: nel II libro delle "Storie" (lògos egizio, cap.145) egli sostiene di essere nato 400 anni dopo Omero (vissuto secondo Erodoto verso la metà del IX secolo a.C.) ed Esiodo. La distruzione di Troia è così spostata più indietro: 1350-1250 a.C..
* Eratostene di Cirene è autore della datazione che, dal III secolo a.C., riscuote maggiore successo. Non essendoci giunte opere complete di questo autore, la sua datazione viene riportata da Dionisio di Alicarnasso nelle "Antichità romane", in un passato collegato all' arrivo di Enea in Italia e alla fondazione di Lavinio. Dionisio riporta la data esatta, in termini antichi, della caduta di Troia, che corrisponderebbe all' 11 giugno 1184-1182 a.C., ancora XII secolo a.C..
* Ultima conferma sembra venire dalla Piccola Cosmologia di Democrito di Abdera, filosofo del V secolo a.C. e contemporaneo di Erodoto. Egli dice di aver composto quest' opera 730 anni dopo la distruzione di Troia; essendo vissuto intorno al 450 a.C., la data in questione risulta essere il 1180 a.C..


Assos

Assos (Asso) è una cittadina, dalla quale si ammira uno spettacolare panorama sul golfo d' Edremit e sull' isola greca di Lesbo, ricca di storia: vi vissero Aristotele e San Paolo.

Fu fondata nell' VIII secolo a.C. da coloni dell' isola di Lesbo. Ermia di Atarneo, un allievo di Platone, regnò su Asso, sulla Troade e su Lesbo in un periodo nel quale la città godette di grande prosperità, egli vi invitò numerosi filosofi; dal 348 al 345 a.C. Aristotele stesso visse qui e vi sposò sua nipote Pizia. Il periodo d' oro di Asso finì quando la città fu conquistata dai Persiani, che crocifissero Ermia.
Dopo la conquista di Alessandro Magno la città fece parte, dal 241 al 133 a.C., del regno di Pergamo.
L' apostolo Paolo la visitò durante il suo terzo viaggio in Asia Minore, fra il 53 e il 57, sulla via di Lesbo. Dopo questo periodo, Asso si trasformò in un piccolo villaggio e tale è rimasto tuttora.

Assos possiede un idillico antico porticciolo e gode oggi della fama di località "bohemienne".


Pergamum

Pergamum (il mito vede la città fondata da Pergamo, nipote di Achille. Nome della città moderna: Bergama), antica città dell’ Asia Minore, in Misia, nella Troade.

La città ebbe una fioritura in età ellenistica, quando divenne capitale dell’ omonimo regno, raggiungendo il massimo splendore sotto la dinastia illuminata degli Attalidi (241-133 a.C.). La città divenne un importantissimo centro artistico, considerata quasi una seconda Atene ellenistica. In seguito, nel 133 a.C., divenne parte dell' Impero romano. Il declino della città seguì quello dell’ Impero Romano.

L' Altare di Zeus di Pergamo è uno degli edifici più famosi ed uno dei capolavori dell' arte ellenistica. Fu fatto edificare da Eumene II (197-159 a.C.) in onore di Zeus Sóter e Atena Nikephòra (Zeus salvatore e Atena portatrice di vittoria) per celebrare la vittoria sui Galati.
Il fregio fu distrutto durante le invasioni barbariche e ricostruito, coi frammenti portati nel 1871 in Germania dall’ ingegnere tedesco Carl Humannda, dagli archeologi tedeschi a Berlino, nel Pergamon Museum.

Nell' acropoli sovrastante la città moderna mirabili sono il Tempio di Traiano e l' impressionante teatro (III sec. a.C.) che si sviluppa sul ripido fianco della collina. Il tempio, dalle colonne di marmo, è l’ unica struttura di epoca romana sopravvissuta nell’acropoli, fu costruito sotto il regno degli imperatori Traiano ed Adriano ed era destinato all’ adorazione di Zeus e degli imperatori stessi. Il teatro, dalle vertiginose pendenze, poteva ospitare fino a 10000 spettatori; la conformazione del terreno non rese possibile la classica struttura dei teatri ellenistici, più ampia e rotonda, e quindi la struttura fu elevata in altezza per sopperire alla carenza in ampiezza.
Ai piedi dell' acropoli si trovano la Basilica Rossa ed il centro terapeutico Asclepion. La basilica (II sec d.C.), con mura in semplici mattoni di terracotta rossa, era originariamente (II sec. a.C.) un tempio dedicato alle divinità egizie Serapide, Iside ed Arpocrate e viene citata nell' Apocalisse di San Giovanni come una delle sette chiese dell’ Apocalisse.


Efeso

Efeso fu una delle più grandi città ioniche in Anatolia, situata in Lidia, alla foce del fiume Caistro.

Fu un importante e ricco centro commerciale sul mare dell' antichità (tutte le strade di Efeso erano illuminate di notte con lampade a olio, ciò mostra la ricchezza della città), oltre che un centro religioso di grande rilevanza, il cuore del culto di Cibele (dea anatolica della fertilità) , che in periodo ionico divenne Artemide (vergine dea della caccia e della luna) ed in periodo romano venne assimilata a Diana.

La città risale a 2000 anni a.C.. 

La leggenda narra che Androclo, figlio del re ateniese Codro, consultò un oracolo per sapere in quale luogo della Ionia avrebbe dovuto fondare la sua città, l’ oracolo gli rispose “Scegli il sito indicato dal pesce e dal cinghiale”.

Seduto insieme ad alcuni pescatori presso la foce del fiume Caistro, mentre questi arrostivano del pesce per pranzo, un pesce saltò fuori dal braciere insieme ad un carbone ardente che incendiò alcuni cespugli ed un cinghiale spaventato sbucò dal fogliame. Nel luogo in cui i pescatori uccisero il cinghiale venne costruito il Tempio di Artemide. 

Efeso fu conquistata nel 546 a.C. dai Persiani, e poi da Alessandro Magno nel 334 a.C.. Dopo la morte di Alessandro il controllo della Ionia passò nelle mani di uno dei suoi generali, Lisimaco. In seguito Efeso si alleò prima con i re seleucidi della Siria, poi coi Tolomei d’ Egitto, con il re Antioco, con Eumene di Pergamo (dopo il 190 a.C.) ed infine coi romani nel 133 a.C.. Dal 129 fu la capitale della provincia romana dell’ Asia Minore.

Durante il periodo bizantino Efeso perse importanza. Il declino di Efeso è da addurre principalmente alla retrocessione del mare, che ora dista alcuni chilometri dal sito, a causa dei sedimenti portati dal fiume.

Tra le rovine, che ne fanno uno dei più noti siti archeologici del Mare Mediterraneo, sono degne di nota quelle del Grande Teatro (il più grande in Asia Minore con una capacità di 24.000 persone, la cui costruzione risale al periodo ellenistico e che venne ricostruito dai romani tra il 41 a.C. e nel corso del tempo di Traiano, 98-117 d.C., conservando molti elementi ellenistici originali tra i quali l’ ingegnosa gradinata con le file aventi via via una pendenza maggiore), del piccolo Tempio di Adriano (costruito nel 118 d.C., lungo la via dei Cureti, in stile corinzio, ornato da magnifici rilievi nel portico e da una testa di Medusa che tiene lontani gli spiriti maligni) e della famosissima Biblioteca di Celso (eretta dal figlio del governatore romano dell’ Asia Minore Celso dopo la sua morte nel 114 d.C. e completata nell' anno 135 d.C.. Celso venne sepolto sotto l’ ala occidentale. Le nicchie sulla facciata ospitavano statue raffiguranti Virtù, Ingegno, Scienza e Sapienza). Ridotte a una singola colonna sono invece le testimonianze di quello che fu il più celebre monumento di Efeso, e secondo Pausania il più grande edificio del mondo antico: il Tempio di Artemide (costruito in un primo momento durante il periodo arcaico, VIII secolo a.C.), una delle Sette meraviglie del mondo, raso definitivamente al suolo nel 401 per ordine di Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli.


Quando gli apostoli dovettero lasciare Gerusalemme, San Giovanni con Maria Vergine, che gli era stata affidata da Gesù, venne ad Efeso nel 37 d.C.. San Paolo fu ad Efeso nel 53 (dove vi rimase per tre anni) e, a causa della sua famosa lettera agli Efesini, venne trascinato nel teatro per affrontare le folle e salvato dai corpi di sicurezza della città. Dopo l' uccisione a Roma di San Paolo capo della chiesa di Efeso fu San Giovanni.
Prima di seguire Gesù Giovanni era discepolo di Giovanni Battista. La tradizione gli attribuisce un ruolo speciale all' interno della cerchia dei dodici apostoli e fu l' unico degli apostoli presenti alla morte di Gesù in croce. S.Giovanni nonostante l' età avanzata viaggiò in tutta l' Anatolia per diffondere il cristianesimo, mentre cresceva l' ostilità contro i Cristiani. San Giovanni fu preso, torturato ed esiliato a Patmos (piccola isola del mar Egeo) dove, secondo la tradizione scrisse l' Apocalisse. Sempre secondo la tradizione tornò poi ad Efeso, scrisse il suo Vangelo, morì e fu sepolto, secondo quanto disposto nel suo testamento, dove si trova la chiesa a lui dedicata.

Nel 431 si tenne ad Efeso il terzo Concilio ecumenico, su disposizione dell' imperatore Teodosio II, per sedare le due fazioni, una che sosteneva che Maria era la madre di Gesù dio e quindi di Dio, l' altra (nestorianesimo, da Nestorio, patriarca di Costantinopoli) che era madre solo di Gesù uomo. Il concilio decretò che Gesù era una persona sola, non due persone distinte, completamente Dio e completamente uomo, venne condannato il nestorianesimo ed adottato il titolo di Theotokos ("Madre di Dio").
Secondo i verbali del concilio di Efeso la Vergine rimase per un breve tempo in luoghi vicini a quelli della chiesa dove si svolse il concilio, poi si trasferì in una casa posta su un' altura oggi chiamata "monte dell' usignolo" e vi rimase secondo la tradizione fino all' anno 46 quando a 64 anni d' età fu assunta in cielo.
Non essendo ancora molto diffuso il Cristianesimo l' ubicazione della casa fu presto dimenticata. Anna Katharina Emmerick una donna tedesca vissuta dal 1774 al 1824, ammalata da lungo tempo e incapace di camminare, ebbe una visione mistica e scrisse un libro sulla vita di Maria indicando fra l' altro il luogo dove la Vergine avrebbe trascorso gli ultimi anni. Un sacerdote francese di nome Gouyet decise di recarsi ad Efeso nel 1881 e, con l' aiuto del vescovo di Smirne Timoni, trovò la casa di Maria, ma nessuno gli credette. Soltanto dieci anni dopo le ricerche del frate lazzarista Jung coadiuvato dal direttore del Seminario di Smirne Pouline si accettò che la rivelazione della Emmerik era esatta. Nel 1967 papa Paolo VI e nel 1979 papa Giovanni Paolo II si recarono ad Efeso e pregarono nella casa di Maria facendo sì che ormai tutto il mondo fosse d' accordo nel ritenerla tale.


Pamukkale

Pamukkale (patrimonio dell' umanità dell' UNESCO) in turco significa "Castello di cotone".

I movimenti tettonici non solo hanno causato frequenti terremoti in questa area, ma hanno anche permesso la nascita di numerose fonti termali. Proprio le acque che sgorgano da queste fonti con il loro contenuto minerale crearono questo incredibile luogo (visitabile 24h su 24), con vasche e le stalattiti di travertino (carbonato di calcio) lungo il pendio della montagna, in seguito al loro raffreddarsi lungo la parete rocciosa che porta a rilasciare il calcio in esse contenuto, rendendo così l' area simile ad una fortezza di cotone o di cascate di ghiaccio.

L' antica città, Hierapolis, costruita sulla sommità dell' altopiano, fu fondata dal re Eumene II di Pergamo nel 190 a.C.. Divenne soggetta ai romani nel 133 a.C., che la resero una grande stazione termale, e nel 17 a.C., durante il regno di Tiberio, venne distrutta da un pesante terremoto. Il centro terapeutico prosperò, oltre che coi romani, soprattutto coi bizantini.

Il teatro di Hierapolis, con oltre 12000 posti a sedere, domina la bella vista della pianura sottostante. Originariamente era situato altrove, ma quando la città venne ricostruita durante il regno degli imperatori Flavi (60 d.C.) il teatro venne trasferito qui riutilizzandone il materiale originale. Durante il regno di Settimio Severo (193-211 d.C.) il teatro è stato modificato e riccamente decorato.

Sfortunatamente Pamukkale venne abusata durante il boom turistico degli anni ’80 e ‘90, alcuni hotel furono costruiti sopra al sito, distruggendo parte delle rovine di Hierapolis, e l' acqua calda fu incanalata allo scopo di riempire le piscine artificiali degli alberghi. Gli scarichi di queste ultime per anni riversarono le acque reflue direttamente sul sito contribuendo in maniera determinante all' inscurimento delle vasche calcaree. Fu anche costruita una strada asfaltata in mezzo al sito per permettere ai visitatori di raggiungere la parte alta della formazione. Inoltre fu concesso ai turisti di lavarsi all' interno delle vasche calcaree utilizzando detergenti di natura industriale aggravando ulteriormente il problema.
A seguito dei danni prodotti, l' UNESCO è intervenuta, predisponendo un piano di recupero nel tentativo di invertire il processo di inscurimento. Gli hotel furono demoliti, e la strada coperta da piscine artificiali che sono tuttora accessibili, a differenza del resto, dai turisti a piedi nudi. Una piccola trincea è stata scavata lungo il bordo, al fine di recuperare l' acqua ed evitarne la dispersione. Le parti brune sono sbiancate lasciandole al sole, in assenza di acqua per diverse ore al giorno. Per questo motivo molte piscine sono vuote. Alcune aree sono coperte d' acqua solo per un paio di ore al giorno. Inoltre il sito è costantemente sorvegliato da addetti che impediscono ai visitatori di abusare dei luoghi. Grazie a questi interventi il luogo sta lentamente riprendendo il suo naturale colore bianco.


Konya

Konya, conosciuta come la città dei dervisci e dei selgiuchidi, attualmente attraversa un periodo di forte crescita economica. E’ la provincia più estesa della Turchia, situata sull' altopiano centrale dell' Anatolia (parola di origine greca: "sorgere del sole"), area che rappresenta il cuore del paese dal punto di vista culturale oltre che geografico, infatti nel corso dei secoli popoli, razze ed imperi si sono contesi queste steppe polverose e collinose. 
L' antico nome della città era Iconium, che deriva da un icona. La leggenda narra infatti che Perseo, un semidio della mitologia greca, uccise un drago che stava devastando la città e che la gente eresse un obelisco di pietra in suo onore con un' icona di Perseo.

L' archeologia indica che la regione è stata abitata fin dal periodo neolitico (Età della pietra) attorno al 7.000 a.C.. Qui si sono stabiliti gli Ittiti, i Frigi, i Lidi, i Persiani, i Romani ed i Bizantini, dopo i quali arrivarono i Musulmani, prima con il califfo Muaviya, poi Arabi, Emevi e gli Abbasidi, Selgiuchidi nel 1071 ed infine gli Ottomani nel 1466. Gli attacchi dei crociati dal 1076 fino alla fine del dodicesimo secolo non riuscirono a strappare la città all' Islam, anche se Goffredo di Buglione (agosto del 1097) e Federico Barbarossa (18 maggio 1190) la occuparono per brevi periodi.
Capitale del sultanato selgiuchide di Rum dal 1150 al 1308, uno degli stati successori del grande impero turco selgiuchide dell’ XI secolo, fu uno dei più grandi centri culturali della Turchia.

Nel 1219, molti rifugiati persiani si rifugiarono a Konya dopo la disastrosa sconfitta subita contro i mongoli di Genghis Khan. Nel 1243 venne conquistata dai Mongoli.

Il sultanato di Rum diede ospitalità
a Celaleddin Rumi, nato nel 1207 a Balkh, nell’ odierno Afghanistan, e morto a Konya il 17 dicembre 1273, data che viene ricordata come la "notte di nozze con Allah". Rumi è stato uno dei più grandi filosofi, poeti e mistici della storia e divenne noto tra i suoi seguaci come Mevlâna ("nostra guida"). Le sue opere, scritte per lo più in persiano (lingua letteraria dell’ epoca), sono tra le più amate nel mondo islamico.

Rumi fuggì da Balkh, seguendo la sua famiglia, prima dell’ arrivo dei mongoli, trovando rifugio prima alla Mecca e poi a Konya, che raggiunsero nel 1228. Il padre era un noto predicatore e dopo la sua morte (1231) Rumi continuò i suoi studi di teologia prima ad Aleppo e poi a Damasco per poi tornare a Konya nel 1240. Nel 1244 conobbe Tebrizi, uno dei sufi (mistici musulmani) discepoli di suo padre, che ebbe una profonda influenza su Rumi ma che venne ucciso nel 1247 da un gruppo di facinorosi discepoli di Rumi gelosi della grande influenza che esercitava sul loro maestro. Sconvolto da questo avvenimento Rumi si isolò dal modo per meditare.

Si può cercare di riassumere il pensiero ricco di tolleranza di Rumi nei seguenti famosi versi: 

“Vieni, chiunque tu sia,

anche se sei infedele,

pagano, o adoratore del fuoco, vieni.

La nostra non è una confraternita di disperazione.

Anche se hai infranto i tuoi voti di pentimento per cento

volte, vieni.”

 
Dopo la morte di Rumi il figlio riunì i seguaci del padre nella confraternita dei Mevlevi o Dervisci Danzanti/Ruotanti.

Nel corso dei secoli che seguirono la morte di Mevlâna furono creati oltre 100 comunità di Dervisci in tutto il regno ottomano. L' Ordine Sufico dei Dervisci esercitò un’ importante influenza conservatrice sulla vita politica, sociale ed economica del paese tanto che Atatürk lo considerava come un ostacolo al progresso del popolo turco e nel 1925 ne bandì tutti gli ordini, tuttavia numerose comunità continuarono ad esistere.

Darwīsh in lingua fārsī (persiano) significa letteralmente "cercatore di porte", colui che cerca il passaggio, la soglia, l' entrata che porta da questo mondo materiale ad un paradisiaco mondo celestiale. Il termine generalmente si riferisce a un asceta mendicante oppure ad un temperamento ascetico di colui che è indifferente alle cose materiali.
I Dervisci indossano lunghe vesti bianche con ampie gonne che rappresentano i loro sudari. I voluminosi mantelli neri sono il simbolo della loro tomba terrena, ed i cappelli di feltro di forma conica rappresentano la pietra tombale.

Nella loro ricerca dell' estasi che li avvicina a Dio, danzano ruotando a lungo su se stessi. La cerimonia ("Sama" che significa ascolto in arabo e persiano) inizia quando l’ hafiz, un erudito che conosce l’ intero Corano a memoria, intona una preghiera per Mevlâna e recita un versetto del Corano; si ode poi il suono di un timpano seguito da quello mesto del ney (flauto di canna); quindi lo seyh (maestro) si inchina e guida i dervisci in circolo attorno alla sala. Dopo aver compiuto tre giri i dervisci lasciano cadere il mantello nero, a simboleggiare la liberazione dai legami terreni. Danzando su se stessi con la mano destra girata verso il cielo ricevono la benedizione dal cielo e la comunicano alla terra con la mano sinistra rivolta verso il basso; il danzatore diviene così il medium tra la terra ed il cielo. Mentre girano su se stessi disposti in cerchio formano una "costellazione" di corpi rotanti che a sua volta gira lentamente. Lo seyh si muove tra di essi per controllare che ogni derviscio stia eseguendo correttamente il rituale. La danza viene ripetuta più volte, al termine l’ hafiz intona nuovamente dei passaggi del Corano suggellando in questo modo l’ unione mistica con Dio.
L' educazione di un derviscio è particolarmente ardua e consiste in 1001 giorni di penitenza, digiuni e meditazione. Per apprendere la loro danza, i dervisci bloccano due dita del piede al pavimento; in questo modo essi imparano a mantenere regolare e disciplinata la loro rotazione. Mentre rotea il derviscio appoggia il suo peso sul piede sinistro mentre la gamba destra dà slancio alla rotazione. Per evitare il capogiro, il derviscio tiene la testa leggermente inclinata verso destra e gli occhi fissi sul palmo della mano sinistra. 

Il mausoleo di Mevlâna, con la sua cupola ricoperta di maioliche turchesi, è la costruzione più importante di Konya. Vi si entra attraverso un cortile, nel quale è presente il grande
 Nisan (vaso di aprile) in bronzo; la pioggia che cadeva in aprile, così importante per gli agricoltori, era considerata sacra e veniva raccolta in questo vaso. La punta del turbante di Mevlâna veniva intinta in quest’ acqua e poi offerta a coloro che necessitavano di cure. Accanto al mausoleo, l' antico seminario dei dervisci conserva i manoscritti che racchiudono l' opera di Mevlâna, come pure oggetti di culto mistico appartenuti all' Ordine.
 

Konya per i musulmani è considerato un luogo sacro molto importante e gode da sempre la fama di avere una mentalità conservatrice dal punto di vista religioso, qui infatti ad esempio si vedono le donne indossare il velo in maggior numero rispetto alle altre città.


Caravanserraglio di Sultanhanı

E’ il più grande ed antico caravanserraglio della Turchia, metteva in collegamento Konya con la Persia, fu costruito tra il 1229 e il 1236.

E' uno dei meglio conservati di una catena di caravanserragli ("han") fatti costruire dai sultani selgiuchidi nel XIII secolo per favorire i commerci; posti a distanze di 15÷40 km, corrispondenti ad una giornata di marcia di cammello.

Queste stazioni di rifornimento fortificate per le carovane che viaggiavano lungo la Via della Seta offrivano un recinto per far riposare i cammelli, vitto ed alloggio per i mercanti in viaggio che in essi potevano sostare alcuni giorni per rifocillarsi, fare scorta di provviste ed eventualmente riparare i carri, nonché un luogo d' incontro che potesse facilitare i commerci.

Le spese di costruzione e manutenzione dei caravanserragli erano sostenute dal sultano, e venivano finanziate grazie alle tasse applicate sui ricchi traffici di merci.
Il caravanserraglio di Sultanhanı è molto ben conservato e sembra di rivivere l' atmosfera di allora, con gli animali nelle stalle e le persone intente alle loro mansioni quotidiane.


Valle di Ihlara

La Valle di Ihlara è un imponente canyon, che si snoda per circa 16 km, frutto dell' erosione del fiume Melendiz Suyu. Lungo le due scoscese pareti si trovano, scavate nella roccia, numerose (circa 100) chiese rupestri bizantine tappezzate di affreschi.


Cappadocia

Si ritiene che il toponimo "Cappadocia" derivi dalla parola Katpadukya, ovvero "terra dei bei cavalli", come la chiamarono gli Ittiti. I cavalli della regione sono famosi per essere stati offerti in dono a Sardanapalo, re d' Assiria, Dario e Serse di Persia.

La Cappadocia,
 una delle mete turistiche più rinomate della Turchia dagli anni ‘80 ed inclusa dalla UNESCO nella lista dei siti patrimonio dell' Umanità, è cosparsa da alte e bizzarre formazioni di tufo calcareo, scolpite nel tempo dal vento e dall' acqua, che conferiscono a quest' area un aspetto quasi surreale. Questi pinnacoli prendono il nome di "camini delle fate" ("peribacalar") poiché la leggenda vuole che i massi tondeggianti sulle sommità siano stati posati da divinità celesti.
In realtà il paesaggio unico delle numerose valli delle quali la Cappadocia va famosa è il risultato del dispiegarsi di forze naturali nel corso di millenni. Circa 60 milioni di anni fa, si formò la catena montagnosa del Tauro nell' Anatolia meridionale, la cui formazione creò numerosi burroni e depressioni in Anatolia centrale. Dieci milioni di anni fa, queste depressioni sono state riempite da magma e polveri vulcaniche provenienti da numerosi vulcani in eruzione in Anatolia centrale cosicché, gradualmente, le depressioni andarono scomparendo, trasformando la regione in un altopiano. Tuttavia, in seguito, l’ erosione esercitata dal vento, dalla pioggia, dai fiumi e dalle escursioni termiche modellò il materiale che aveva colmato la depressione spazzando via lo strato di lava che ricopriva il tufo (cenere vulcanica solidificata) e dando vita a pinnacoli isolati. Questi possono raggiungere i 40 m di altezza, hanno forma conica, e nella maggior parte dei casi sono sormontati da una roccia scura che è all’ origine della formazione del cono, perché essendo più dura lo ha protetto, come un cappello, dalle piogge che col passare del tempo hanno eroso la roccia circostante (i geologi chiamano questo processo “erosione differenziata”).

La Cappadocia è uno di quei rari luoghi al mondo nei quali l' opera dell' uomo si mescola sapientemente al paesaggio circostante. Delle abitazioni vennero scavate in questa tenera roccia già prima del 6000 a.C. e vi si stabilirono alcune antiche civiltà, come quella degli Assiri (inizio II millennio a.C.), e vi fiorirono altre, come quella degli Ittiti (II millennio a.C.).
La Cappadocia cadde in mano persiana nel VI secolo a.C., uno status mantenuto fino alla conquista di Alessandro Magno due secoli più tardi (334 a.C.). I persiani divisero l' Anatolia in province (satrapie), assegnando a ciascuna un governatore (satrapo).
I principati erano collegati al porto di Efeso (presso la città turca di Kuşadası) tramite la "Via Reale di Persia", che iniziava proprio in quella città e, passando attraverso le città di Sardi e Mazaka (ora Kayseri), raggiungeva la Mesopotamia e Susa, capitale della Persia. I satrapi rimettevano alla Persia le imposte da loro riscosse, sotto forma di oro, pecore, asini o dei famosi cavalli della Cappadocia.
L' anno successivo alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) la Cappadocia riacquistò l' indipendenza.
La regione mantenne la sua indipendenza fino all' anno 17 d.C., quando l' imperatore Tiberio, ridusse la regione al suo dominio elevandola a provincia romana.
Eremiti cristiani perseguitati per la loro credenza religiosa cercarono rifugio nella regione ed usarono anfratti, torri e canyon come nascondigli. San Basileo Magno (329-379 d.C.), vescovo di Caesarea (odierna Kayseri), riuscì ad ispirare molte colonie religiose e così si creò una vita monastica che ebbe fecondo sviluppo e che durò in Cappadocia per molti secoli (tra il IV e XI secolo) fino all' arrivo dei Selgiuchidi. Sotto il dominio selgiuchide ed ottomano comunque i cristiani vennero trattati con tolleranza. Tuttavia la Cappadocia perse progressivamente la sua importanza in Anatolia fino a quando nel 1907 un prete francese rinvenne le chiese scavate nella roccia.

In epoca bizantina nei secoli VI e VII apparvero le prime chiese dipinte, monasteri, cappelle, scavati nella roccia vulcanica. Esistono nella regione più di seicento chiese con queste caratteristiche.
Anche le chiese della Cappadocia subirono gli sfregi del periodo iconoclasta della storia bizantina (725-843), e molte pitture parietali soffrirono danneggiamenti a causa del divieto di riprodurre qualsiasi figura sacra.
I Selgiuchidi cominciarono ad arrivare in Cappadocia provenendo dalla Persia a partire dall' XI secolo, dopo aver sconfitto l' esercito bizantino, e dando inizio alla progressiva conquista del territorio.
Nei secoli che seguirono, l' Anatolia fu teatro di conflitti tra i Selgiuchidi, Bizantini e Crociati. Questi ultimi, nel 1097, durante la Prima crociata, presero Nicea (Iznik), capitale selghiuchida, e obbligarono gli avversari a emigrare fino a Iconio (Konya), in Anatolia centrale. I Selghiuchidi posero le radici di quello che, dal XV secolo, sarebbe sorto come Impero Ottomano, le cui origini provenivano da uno dei sultanati - nucleo originario del futuro impero - staccatosi dallo stato selghiuchida sotto il comando di un capo di nome Othmān I Ghāzī (Osman I), che diede il suo nome alla dinastia ottomana, in turco detta degli Osmanli.
 

Assolutamente da non perdere è la panoramica dall’ alto delle valli della Cappadocia, all’ alba, con un volo in mongolfiera.


Göreme - Open Air Museum

Göreme è il cuore della Cappadocia.

Göreme è famosa nel mondo per il museo all' aria aperta (Open Air Museum) dichiarato patrimonio mondiale dall' UNESCO. Consiste nei resti di in una comunità monastica costituita da un gruppo di chiese, cappelle e monasteri bizantini scavati nella roccia vulcanica dai monaci ortodossi cristiani e costellati da magnifiche decorazioni e pitture murali.

Molti affreschi mostrano i segni del periodo iconoclasta della storia bizantina (725-843), alcuni (quelli realizzati in precedenza) in termini di sfregi, altri (realizzati durante questo periodo) si basano interamente sul simbolismo per comunicare i medesimi messaggi e possono apparire infantili e semplici a causa della disapprovazione della rappresentazione della figura umana nell' arte religiosa. 
Il Concilio di Nicea II (787), il decimo concilio riconosciuto dalla Chiesa Cattolica, il settimo dalla Chiesa Ortodossa, condannò l' iconoclastia e ripristinò la venerazione delle icone.

Mentre in gran parte delle chiese e cappelle l' umidità e la luce hanno sovente sbiadito i colori dei meravigliosi affreschi bizantini, la "Chiesa Buia" (Karanlık Kilise) è la meglio conservata e con i colori più vividi grazie alle sue scarse aperture verso l' esterno, infatti è presente solo una piccola finestra nel narthex che consente il passaggio di poca luce.
Un' altra chiesa sicuramente degna di nota per i suoi affreschi è la "Chiesa della Fibbia" (Tokalı Kilise).


Zelve

Nel villaggio rupestre di Zelve l' opera dell' uomo, con le abitazioni scavate nella roccia, si fonde armoniosamente a quella della natura riservando scenari davvero suggestivi. Il villaggio risale al periodo preiconoclastico ed è stato abitato dai greci fino agli anni '20 e successivamente abbandonato dopo il 1952 per il pericolo di frane.
Nel villaggio si trovano chiese, mulini, frantoi, resti di un castello e di una moschea, ma soprattutto abitazioni troglodite.


Devrent Valley

E' una delle zone più suggestive della Cappadocia, qui nelle rocce usando l' immaginazione si possono riconoscere forme di animali e figure antropomorfe.


Ürgüp

Ürgüp è storicamente uno dei primi insediamenti della regione della Cappadocia.
Durante il periodo bizantino fu centro del patriarcato di Cappadocia.

Ürgüp è probabilmente il meno interessante dei centri in prossimità dei siti della Cappadocia. Lo sviluppo recente si è moltiplicato senza un criterio ben definito lasciando una triste eredità ed una sensazione di quasi estraneità con l' area circostante; si ha rispetto ad altrove una maggior presenza di servizi, come banche, alberghi, pensioni ed una certa vita notturna con piccoli bar e discoteche. 
Sono comunque presenti alcune interessanti edifici tradizionali.


Çavuşin

A Çavuşin si trova il Monastero di San Giovanni Battista situato, insieme ad un complesso labirintico e scosceso di case scavate nella roccia (disabitate da pochi anni a causa di frane anche di importante entità), nei pressi della cima di un dirupo, per raggiungere il quale si gode di un magnifico panorama. L' assenza di turisti dovuta al fatto che la zona è tutt’ ora soggetta al rischio di frane rende la visita nei cunicoli un' esperienza indimenticabile.


Uçhisar

Salendo in cima al castello di Uçhisar, un alto affioramento di roccia vulcanica disseminato di gallerie e finestre, visibile da diversi chilometri di distanza, si può godere di una magnifica vista panoramica della Cappadocia, particolarmente suggestiva al tramonto.


Derinkuyu

Derinkuyu, sviluppandosi su sette livelli, è la più grande delle città sotterranee della Cappadocia.

Gli studiosi hanno fin’ ora identificato 36 città sotterranee in Cappadocia e fanno risalire le più antiche di esse all’ epoca ittita, circa 4000 anni fa.

In tempo di pace gli abitanti della regione vivevano in superficie coltivando la terra, ma quando erano minacciati di invasione da parte di nemici si rifugiavano in queste città sotterranee.

Le città sotterranee si articolano su più livelli e sono equipaggiate con condutture di aerazione, depositi per il grano, stalle, cucine comuni, forni, pozzi d' acqua, aule e tutto quanto fosse necessario ad ospitare una popolazione che poteva arrivare fino a 20.000 abitanti e sopravvivervi anche per sei mesi, senza necessità di arrischiare sortite esterne.
Nei tunnel sono presenti porte di pietra circolare che venivano fatte rotolare dall' interno per chiudere i passaggi, esse presentano spesso un foro al centro usato per attaccare il nemico; inoltre nei tunnel sono presenti dei fori nel soffitto dai quali veniva versato olio bollente sugli assalitori.

La visita di queste città è un' esperienza molto interessante immaginando come grandi comunità riuscissero a vivere in questi claustrofobici labirinti di stretti cunicoli che collegano i vari locali e livelli.


Nemrut Dağı

Il tramonto dal monte Nemrut è da non perdere: è uno dei punti fermi per un viaggiatore. 

Per raggiungere questo affascinante sito, attrattiva principale della Turchia orientale, ci si immerge in un’ atmosfera da "ultima frontiera" ed in un crescente senso di avventura, all’ interno di una regione che è caratterizzata da una palpabile distanza (dovuta anche al fatto che questo territorio, Kurdistan, è il bastione dell’ identità e della cultura del popolo curdo) col resto della Turchia.

Il Nemrut Dağı (patrimonio dell' UNESCO) appartiene al gruppo del Tauro Orientale ed è, con i suoi 2150 m, il più alto della Mesopotamia settentrionale.

Sulla sua sommità si erge l' incredibile santuario funerario, eretto nel I sec. a.C. dal megalomane re Antioco I di Commagene, che divenne noto solo nel 1881, anno in cui un ingegnere tedesco, che perlustrava la zona su incarico degli ottomani in vista della costruzione di una rete stradale, giunse sulla remota sommità del monte e rimase sbalordito di fronte alle enormi statue che la sormontavano. I lavori di scavo iniziarono soltanto nel 1953, sotto la direzione dell’ American School of Oriental Researches.
 

Il sito si compone di un tumulo di pietra frantumata, di 150 m di diametro per un' altezza di 50 m. Alla base tre terrazze formano il santuario; altari e statue gigantesche, raffiguranti il patto del re Antioco I con gli dei “suoi parenti”, creano uno scenario toccante che coglie il suo apice alla luce dell' alba e del tramonto. Data la sua ardua collocazione, la natura ha prevalso sull' uomo e con fulmini, terremoti e lo stesso trascorrere del tempo, le statue sono state decapitate. Il luogo della sepoltura, dove il sovrano dovrebbe essere sepolto insieme a tre membri femminili della sua famiglia, nonostante diversi tentativi, è ancora da scoprire.

* Terrazza nord: fungeva da punto di raccolta dei pellegrini che salivano dalle diverse strade esistenti sui fianchi della montagna; statue colossali di un leone e di un' aquila ornavano l' entrata: non rimane nulla essendo la più rovinata delle tre terrazze.
* Terrazza ovest: cinque statue colossali di personaggi seduti alte dagli 8 ai 10 metri, le cui teste alte 2 m giacciono sparse ai loro piedi, raffigurano: Antioco I; la dea Fortuna (per i romani) - Tyche (per i greci), dea della fertilità nella Commagene; il re di tutti gli dei Giove (per i romani) - Zeus (per i greci) - Ahura Mazdā (per lo Zoroastrismo), rappresentato dall’ aquila; il dio del sole Apollo (per i romani e per i greci) - Helios (per i greci) - Mithra (per i persiani) col copricapo coi raggi; il dio della guerra Marte (per i romani) - Ares (per i greci). E’ in questo modo che i Macedoni, a partire da Alessandro Magno, cercarono di unificare i greci, i persiani e gli altri popoli del vicino oriente, riunendo le differenti divinità possedute in un unico tipo comune. Sono inoltre presenti il leone, simbolo della dinastia di Commagene, lastre con figure in bassorilievo raffiguranti gli antenati di Antioco, che includevano sia macedoni che persiani, ed una lastra raffigurante il cosiddetto "leone astrale" poiché contiene dei simboli astronomici. Le diciannove stelle che si vedono sullo sfondo di quest’ ultima lastra e sul corpo del leone, la falce di luna sul suo petto e la congiunzione di tre pianeti corrispondenti a Giove, Mercurio e Marte, indicherebbero la data del 7 luglio 62 o 61 a.C., la cui interpretazione è ancora dubbia: chi pensa alla data della salita al trono di Antioco I (caldeggiata dal generale romano Pompeo), chi al suo compleanno o alla fondazione del sito.
* Terrazza est: anche se le statue acefale sono simili a quelle della terrazza ovest, la loro posizione è diversa; una scalinata monumentale porta agli altari, due scalinate laterali portano alle divinità poste sopra gli altari. Perfettamente conservati i personaggi seduti, ma le teste delle statue sono in pessime condizioni; di un grande altare posto di fronte rimane il basamento perfettamente visibile. Dietro alle basi delle statue, numerate con lettere romane, il testo in greco del pensiero di Antioco I: la volontà di essere qui sepolto ed i riti da eseguire in suo onore.

Ai piedi del monte si ammirano l' Eufrate (Firat), l' ingresso alla Mesopotamia (la culla delle civiltà), ed il lago della diga di Atatürk (Atatürk Barajı).


Ponte romano sul Cendere

Un imponente ponte romano a schiena d’ asino chiamato Chabinas sul Cendere Suyu, costruito nel II secolo d.C. allo sbocco di una gola dalla Legio XVI Flavia Firma in onore (come si apprende da una stele con iscrizione latina) dell’ imperatore Settimio Severo, di sua moglie Giulia Domna e dei figli Geta e Caracalla. Lungo 150 metri per una larghezza di 7, ha quattro colonne corinzie alte 10 metri poste alle estremità del ponte, di queste solo una è stata distrutta, quella in onore del figlio Geta assassinato dal fratello nel 212, forse proprio in seguito a questo avvenimento.


Arsameia

Vi si trovano i resti dell’ antica città di Arsameia (Eski Kale – Vecchia Fortezza), capitale della Commagene, fondata da Mitridate I Callinico intorno all’ 80 a.C. e poi ampliata dal figlio Antioco I. 

Risalendo il sentiero per raggiungere i resti delle fondamenta della capitale sulla cima della collina, si incontrano una prima stele raffigurante Mithra (Apollo), dio del sole, con un copricapo dal quale s’ irradiano i raggi; poi una seconda stele, seppur peggio conservata, raffigurante ancora Mithra, ora nell’ atto di stringere la mano a Mitridate I. Alle spalle di questa seconda stele vi è l’ ingresso ad una galleria che scende in una sala sotterranea (ora non raggiungibile) destinata ai riti del culto di Mithra.

Continuando l’ ascesa si giunge ad una magnifica stele, risalente al 50 a.C. e raffigurante Ercole (Eracle) che stringe la mano a Mitridate I re di Commagene, posta sopra una lunga iscrizione rupestre in caratteri greci ("…Il grande re Antioco, Dio, Giusto, l' Epifane, Romanofilo ed Ellenofilo, figlio del re Mitridate Kallinikos e della regina Laodicea, figlia di Antioco Epifane..."), scoperta nel 1951, narrante la fondazione della città ed indicante che questo luogo fu scelto dal padre come sacra sepoltura ("Hiérothéseion"). Essa è infatti posta all’ ingresso di un tunnel che scende per 158 metri nelle viscere del monte (ora è praticabile per 20 metri circa) che porta a quello che dovrebbe essere il santuario funebre costruito da Antioco I in onore del padre Mitridate I. Antioco proclamò l' istituzione, in questo luogo, di un culto comune di suo padre e suo, in suo onore e in ricordo dei suoi antenati.


Dalla parte opposta al sito, diviso dal fiume Kahta, si trovano le rovine della Yeni Kale (Nuova Fortezza) costruita dai Mamelucchi nel XIII secolo sopra un precedente palazzo dello stesso periodo di Arsameia.


Lago salato Tuz

Il Lago Tuz, in turco Tuz Gölü, ossia "Lago Salato", occupa un' area enorme nell' arido altopiano centrale dell' Anatolia; con i suoi 1500 chilometri quadrati di superficie è il secondo lago più grande della Turchia dopo il Lago di Van. Non è soltanto il lago salato più grande della Turchia, ma anche uno dei più grandi al mondo. Il lago, situato a circa 905 metri sul livello del mare, è poco profondo (fra 1-2 metri), particolarmente durante i mesi estivi in cui l' acqua evapora in grande quantità a causa del caldo secco, lasciando una spessa (fino a 30 centimetri) crosta di sale sulla superficie e trasformando così il lago in uno spettacolare deserto bianco. Il sale viene estratto, lavorato, raffinato e venduto nel mercato locale, rendendo questa attività la più importante attività economica delle provincie della zona.


 
 
 
fonti testi varie: Wikipedia, Lonely Planet, AllAboutTurkey …
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